Thursday, May 27, 2010

Saggi: "Devo cambiare per rimanere me stesso", W. de Kooning. Late Paintings



Recensione di Christiaan Santini per la rivista Di-Parte (2007).
Willem de Kooning. Late Paintings” (20 ottobre 2006 - 11 marzo 2007), curata da Julie Sylvester e organizzata presso l’Aranciera di Villa Borghese (Museo Carlo Bilotti) in collaborazione con The Willem de Kooning Foundation di New York.
“Devo cambiare, per rimanere me stesso”[1]
Gli spazi dell’Aranciera ospitano sedici tele di Willem de Kooning - gran parte presentate per la prima volta al pubblico - realizzate tra il 1981 ed il 1988, ovvero negli ultimi anni di produzione dell’artista olandese (nel 1990 lavorerà per l’ultima volta presso il suo atelier per poi abbandonare, vinto dall’Alzheimer, la pittura e rifugiarsi nella sua casa di East Hampton, N.Y. fino al sopraggiungere della morte il 19 marzo 1997).
Queste opere rappresentano un valido esempio della sua ultima trasformazione che lo storico dell’arte Gary Garrels definisce di “astrazione lirica”. Anni felici caratterizzati dal riavvicinamento con la moglie Elaine e dal definitivo abbandono del suo amatissimo vizio dell’alcool. L’età finale di un uomo che ha attraversato da giovane l’Oceano - all’età di 24 anni - per approdare in America alla ricerca di modernità, e che a New York attraversa da protagonista tutte le rivoluzioni artistiche moderne del dopoguerra, trasformandosi continuamente, vero eclettico[2] della pittura, per divenire uno dei simboli fondamentali dell’”Espressionismo Astratto” americano.
Un uomo anziano che in passato, con la sua produzione fatta di colori densi e pennellate sporche e potenti, ha sempre prodotto immagini urlanti. Prove ed atti di esistenza e sopravvivenza dell’uomo singolo che non ha fatto massa ( o che comunque mai ha accettato la sua condizione di uomo massificato). Segni e gesti unici che esprimono il disagio nei confronti della situazione politica e sociale, metafore della condizione esistenziale dell’uomo moderno, violenti attacchi a quella modernità che lui da giovane cercò in America e che l’America stessa ha tradito.
A parte alcuni tratti delle opere più giovani nell’esposizione questa spinta sembra ormai mancare. Si respira subito un armonia di colori e forme, sola e semplice pittura, ricerca di un segno delicato e curvo memore delle sensazioni visive di Matisse e del semplice calcolo salvifico di Mondrian[3]. Di certo è un uomo diverso dal Willem di gioventù: più maturo, più saggio, ma con tanta voglia di esprimersi ancora. La maturità è infatti il periodo più prolifico, in cui completa quasi una tela settimana!
Il metodo di lavoro cambia: realizza solo un dipinto alla volta, sfuma le pennellate più intense con i polpastrelli e schiarisce la tavolozza. Ritorna ad un astrattismo puro, non più accompagnato da immagini di figura (anche se talvolta pare suggerirci ancora corpi biomorfi…), fa ruotare la tela di novanta gradi in novanta gradi, servendosi di un meccanismo mobile istallato sul cavalletto per seguire l’evoluzione dei suoi segni. Aggredisce ancora la tela dunque ma con un fare più delicato e da più parti.
Cambia poco o nulla nella fase di progettazione ed ideazione, caratterizzata dalla spinta sensitiva ed evocativa provocata dalla visione dei grandi artisti del passato e dalla rielaborazione delle sue stesse opere (spesso appese ai lati della tela in produzione). Il metodo di lavoro si sviluppa ancora, in linea col suo fare artistico di carattere eclettico che sempre l’ha contraddistinto e che tanto ha influenzato la libertà di reinventare se stessa dell’arte d’oltreoceano. Il gesto pittorico tenue è quello del pittore esperto, del grande mestierante che trasporta sulla tela la sua voglia di dare ancora immagini. I segni sulla tela, ormai spogli di spinte morali, sono lo specchio della sua nuova visione dell’arte. Quel che rimane è un solo di immagini e spazio, quel che rimane è sola pittura.
La ricerca di tutta una carriera, la salvezza attraverso il gesto creativo fallisce o perlomeno anch’essa si trasforma. Il gesto non può compiersi come atto individuale, la sua arte e lui stesso sono componenti della massa sociale, protagonisti del sistema arte dunque irrimediabilmente contaminati.
Queste ultime creazioni perdono vigore materico a vantaggio di un apparente equilibrio formale e tuttavia sono un evoluzione coerente. Grandi tele con grandi campiture di colori, nuovi livelli d’arte e nuovo stile che rappresentano la grande e innata spinta a creare. Il tempo a disposizione è prossimo a concludersi, la vecchiaia avanza, non c’è più tempo per sperimentare, solo per lavorare e per produrre.
Per il visitatore questa esposizione è un occasione rara e preziosa per assimilare gli ultimi respiri artistici (e non) di un protagonista assoluto dell’arte europea e soprattutto americana. Per conoscere da vicino il suo testamento creativo tanto diverso dal passato eppure conseguenza stessa degli accadimenti della sua vita, di quelli della storia dell’arte e di quelli della società americana di cui lui egli non nativo eppure protagonista, ne è potente menestrello e valida voce narrante.
Christiaan Santini.

[1] Tratto da Hess Barbara, De Kooning, Colonia, Taschen, 2004, p.82.
[2] “Che c’e’ di male nell’essere eclettici? Un artista finisce un quadro e subito viene aggredito in quanto eclettico, come se avesse compiuto un terribile misfatto, un peccato morale”. Tratto da De Kooning Willem, a cura di Alessandra Salvini, Appunti sull’arte, Milano, Abscondita (Miniature, 23), 2003, p.47
De Kooning ha sempre sostenuto che la sua liberta’ di reinventarsi, il suo eclettismo, derivi dall’amicizia e dall’ammirazione per Gorky. Vedi De Kooning Willem, a cura di Alessandra Salvini…2003, pp. 46, 61-69.
[3] Il rapporto che De Kooning aveva col conterraneo Mondrian appare alquanto contraddittorio: lo considerava artista straordinario, valido esempio da cui attingere “ma quando rileggo quel che ha scritto, soprattutto le sue teorie sul neoplasticismo, sulla plasticita’ pura, le trovo piuttosto ridicole” (tratto da De Kooning Willem, a cura di Alessandra Salvini…2003, p. 38), o ancora “ trovo spaventosa l’idea di Van Doesburg e di Mondrian di imporre la creazione di uno stile (…). Pensare di poter creare uno stile a priori e’, ai miei occhi, un idea assolutamente borghese. “ (tratto da De Kooning Willem, a cura di Alessandra Salvini…2003, p. 12).

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